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The Disaster Artist

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio19 febbraio 2018Voto: 7.5
 

  • Foto dal film The Disaster Artist
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La Kristen Bell del franchise “Bad moms”, il J.J. Abrams artefice del nuovo corso intrapreso dalla saga “Star wars” e il cineasta Kevin Smith sono soltanto alcuni dei nomi noti che compaiono, nei panni di se stessi, nelle interviste volte ad aprire la oltre ora e quaranta di visione che, messa in piedi da James Franco, prende le mosse dal best seller “The disaster artist: My life inside ‘The room’, the greatest bad movie ever made”.

Oltre un'ora e quaranta di visione che, al di là delle premesse, non intende, però, rientrare nel gettonatissimo filone dei falsi documentari, bensì esplorare in salsa biopic la tanto assurda quanto affascinante vicenda realmente vissuta tra la fine del XX secolo e l’inizio del successivo da Greg Sestero, autore, insieme a Tom Bissell, del libro di cui sopra.
Il Greg Sestero che, giovane attore visto anche in b-movie del calibro di “Retro Puppet Master” e “The pit and the pendulum” di David DeCoteau, possiede nel lungometraggio i connotati di Dave Franco, fratello del qui regista che incarna superbamente, invece, il co-protagonista Tommy Wiseau, eccentrico personaggio dall’evidente accento dell’Est Europa – sebbene si dichiari di New Orleans – intenzionato a sfondare ad ogni costo a Hollywood. Eccentrico personaggio che, caratterizzato da lunghi capelli neri e accomunato a Sestero dall’amore nei confronti del maledetto James Dean, ha finito per trasformarsi in una figura di culto grazie alla pessima fama guadagnatasi dal suo “The room”, firmato e interpretato nel 2003, melodramma romantico torrido riguardante un triangolo amoroso con tragedia dietro l’angolo.

Melodramma giustamente ritenuto tra le peggiori opere sfornate dalla Settima arte e di cui, appunto, Franco ricostruisce la lavorazione, ma affrontando, parallelamente, il legame – quasi da omosessualità latente – instauratosi tra le due citate figure principali.
Figure contornate da un ricco cast che, oltre a brevi apparizioni per le veterane Melanie Griffith e Sharon Stone, include nel mucchio Zach Efron, Josh Hutcherson e l’inseparabile collega franchiano Seth Rogen; senza contare il significativo cameo del guru della commedia a stelle e strisce Judd Apatow nella parte di un famoso produttore.

Un cameo che, da solo, lascia emergere la denuncia nei confronti di uno dei tanti cinici aspetti dell’apparentemente rose e fiori universo della mecca del cinema, attorno a cui ruota un po’ tutta la storia di outsider col sogno delle immagini in movimento inscenata.
Outsider non distanti, in fin dei conti, dall’Ed Wood riportato in fotogrammi da Tim Burton, con la differenza che, se in quel caso ad essere posta in evidenza fu la creatività celata perfino dietro alle maggiormente disprezzabili opere su celluloide, qui emerge la maniera in cui, purtroppo, la magnifica invenzione dei fratelli Lumière possa essere praticata da chiunque non possieda arte né parte, ma, semplicemente, capitali da investire.
A testimonianza di un’amara realtà che, privilegiando un look da produzione indipendente dovuto sia all’abbondanza di riprese in movimento che alla fotografia piuttosto propensa a toni veritieri, l’ex Harry Osborn di “Spider-man” racconta sullo schermo mostrandosi capace di rimanere perennemente in equilibrio tra il drammatico e l’ironico; attraverso una narrazione dall’avvio incerto, ma destinata a rivelarsi sempre più coinvolgente ed emozionante... mentre la colonna sonora sfodera storiche hit quali “Rhytm of the night” di Corona e “Can’t get you out of my head” di Kylie Minogue.


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