Dieci
Il film inizia con un bambino che sale in macchina e inizia a parlare con la madre (che non è mai inquadrata), prosegue con la stessa donna che (questa volta a favore di telecamera) parla prima con la sorella, poi con una vecchietta a cui dà un passaggio, quindi con una prostituta caricata in macchina non si sa se per sbaglio o volontariamente, infine con una ragazza che si reca ogni giorno al santuario per pregare affinché il suo fidanzato la sposi. L'ambientazione è sempre la stessa, l'automobile, la donna è sempre la stessa, più volte anche con gli stessi vestiti, i discorsi sono sempre gli stessi: i problemi del figlio che, in seguito al divorzio dei genitori, ha assunto un comportamento aggressivo e irascibile, le lamentele della vecchietta che ha donato tutto al santuario e che ora ha come solo bene una corona per poter pregare, le speranze infrante della prostituta, convinta di essere una venditrice "al dettaglio" al contrario delle mogli che devono sottostare ad un contratto matrimoniale che le fa diventare "venditrici all'ingrosso", le sofferenze d'amore della giovane, che inizialmente crede alle promesse del fidanzato e che in seguito viene abbandonata.
Le paure, le ansie, i problemi di un sentire tipicamente femminile, vengono qui esposti in modo chiaro e rigoroso. Tutti i discorsi che la donna fa con i vari interlocutori potrebbero essere tranquillamente dei monologhi personali, delle riflessioni private sulla propria vita. Come ammette lo stesso Kiarostami, il film si pone a metà strada fra il documentario e il cinema. Sembra quasi di riprendere le varie scene con una telecamera nascosta, che non ci sia un regista, che le scene si generino da sole. Il fatto è che, pur restando indubbio il valore del film come rappresentazione di uno spaccato di vita iraniana, esso si snoda seguendo un ritmo non proprio avvincente, con dei dialoghi che a volte sembrano forzati, poco reali; l'automobile è l'unico luogo dove è possibile parlare liberamente, dove è possibile analizzare la realtà circostante, la propria vita. È irreale adattare i discorsi, le riflessioni, le relazioni con gli altri al traffico, ai sensi unici, ai divieti d'accesso. Non sembra possibile immaginare la vita della protagonista fuori dall'abitacolo della macchina. Eppure è proprio quello che ci vorrebbe. Lei parla della sua vita, ma sembra inesistente, non ne abbiamo nessuna esperienza, neppure solo visiva. Ciò rende la trama incompleta e poco avvincente. Consigliato agli automobilisti che non farebbero neppure un passo a piedi.

Teresa Lavanga

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